domenica 26 ottobre 2008

CHI DECIDE?

Nelle scorse settimane per tentare di uscire dalla ormai cronica emergenza dei rifiuti dell’area partenopea, il nuovo Governo Berlusconi ha scelto un modello autoritario: fine del dialogo paralizzante tra le parti, gestione centralizzata del problema, possibilità di deroga alle norme ambientali e sanitarie e ricorso all’esercito per garantire l’immediata attuazione delle attività di raccolta e smaltimento.
Qualche giorno fa, dopo mesi di serrato dibattito locale, anche con l’intervento di un “mediatore” tra le diverse “parti in gioco” (comunità europea, stato, regione, comunità montane,comuni, cittadini), è stato approvato il nuovo tracciato della linea ferroviaria ad alta velocità (il c.d. “corridoio 5”) nel tratto alpino collocato nella parte ovest della regione Piemonte (Val di Susa). Il tracciato è stato in parte modificato rispetto al primo progetto, sono state accolte alcune istanze locali, si è pervenuti dunque ad una “mediazione” che consente di realizzare l’opera senza grandi contrasti e con soddisfazione reciproca. Se questo metodo fosse stato adottato sin dall’inizio probabilmente le opere sarebbero già in avanzata fase di lavoro, ma tant’è.
Due modi diversi per affrontare scelte di interesse collettivo.
Sono solo due esempi ma rappresentano bene due facce della stessa medaglia: come si prendono le decisioni su questioni di carattere generale? Chi e come decide sulla localizzazione di un nuovo impianto industriale di grande impatto (un cementificio, ad esempio)? Chi e come decide il piano di sviluppo della telefonia mobile locale di un comune?
Un fatto è certo: la democrazia passa attraverso il confronto e il dialogo, ogni restrizione degli spazi di democrazia, ogni decisione assunta in modo autoritario e attuata con metodi coercitivi è una sconfitta della democrazia e conseguentemente della piena cittadinanza di ciascuno.
Del resto chi è portatore di un legittimo interesse ovvero tutti gli attori sociali che hanno una “posta in palio” non sono disposti stare al margine ma chiedono la possibilità di compartecipare, in maniera informata, alla gestione dei processi di scelta.
L’unica vera soluzione praticabile resta dunque quella faticosa, non lineare, spesso irta di ostacoli e contraddizioni della “democratizzazione” delle scelte, della ricerca delle soluzioni condivise ai problemi dello sviluppo e delle compatibilità di questo con il territorio, inteso nella sua accezione più ampia.
Il processo che porta alla scelta, deve essere gestito il più possibile a livello locale e deve coinvolgere tutti gli attori in campo: i rappresentanti delle istituzioni che sostengono gli interessi generali ed hanno piena legittimità costituzionale (dagli amministratori locali fino alle istituzione nazionali), gli “esperti” che conoscono a fondo le questioni in gioco e le sanno rappresentare con rigore (“i tecnici”), coloro che hanno una posta in gioco e possono avanzare qualche legittimo interesse (cittadini e loro rappresentanze, i c.d. “portatori di interesse”). Il processo delle decisioni diventa di buona qualità quando gli “attori” si riconoscono reciprocamente come portatori di interessi legittimi ancorché diversi; quando le istituzioni democratiche favoriscono le dialettica la negoziazione tra i differenti attori; quando il sistema di comunicazione nelle sue molteplici articolazioni è di buona qualità; quando non ci sono secondi fini o interessi non esplicitati; quando c’è trasparenza e dialettica costruttiva. Non è sempre facile giungere ad un compromesso che assicuri il soddisfacimento di tutte le parti; allora la decisione finale deve essere assunta con metodo trasparente da chi rappresenta gli interessi generali, ma non prima di aver esplorato ogni possibili strada d’intesa.
Nei paesi democratici questo tipo di soluzione faticosa non ha alternative; è l’unica che può essere praticata in maniera efficiente. Non ci sono altre soluzioni al confronto: nessuno può sottrarsi al dialogo.

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