lunedì 23 febbraio 2009

Peschiamo con l’amo o con la rete?


Si può pescare con la canna,il filo e l’amo oppure si può pescare con la rete; sempre di pesca si tratta, eppure c’è una bella differenza!
Con la canna si pesca un pesce per volta, si pesca da soli, se la canna o il filo si spezzano non si può più pescare e si deve sostituire la canna, riannodare il filo e ricominciare da capo.
Con la rete è tutto un altro paio di maniche: si pescano molti pesci per volta, si lavora insieme, se una maglia si rompe si riesce a pescare comunque.
Amo e rete sono due modi diversi di pensare il lavoro, il divertimento, le relazioni, sono riferimenti antropologici contrapposti.

giovedì 19 febbraio 2009

Se il caso Mills fosse scoppiato in USA

Allora, fammi capire – mi ha scritto un collega giornalista americano – viene condannato per corruzione il coimputato del primo ministro ma si dimette il capo dell’opposizione. Che strano paese è l’Italia!

Alexander Stille – La Repubblica 19.02.2009

sabato 14 febbraio 2009

La grande muraglia


Contemplando i musi dei cavalli e le facce della gente, tutta questa viva corrente senza rive sollevata dalla mia volontà e che corre a precipizio verso il nulla della steppa purpurea al tramonto, spesso penso: dove sono io in questa corrente? (Gengis Khan)


Se c'è una risposta alla domanda di Gengis Khan (me l'ha regalata Antonio Scurati: Gengis Kahn non se la fece mai, ma gliel'ha attribuita Viktor Pelevin, ne Il mignolo di Buddha), se c'è una risposta a quella domanda che tutti noi potremmo porci, allora io non la immagino diversa da questa: ognuno di noi sta dove stanno tutti, nell'unico luogo che c'è, dentro la corrente della mutazione, dove ciò che ci è noto lo chiamiamo civiltà, e quel che ancora non ha nome, barbarie. A differenza di altri, penso che sia un luogo magnifico.

...

Non c'è mutazione che non sia governabile. Abbandonare il paradigma dello scontro di civiltà e accettare l'idea di una mutazione in atto non significa che si debba prendere quel che accade così com'è, senza lasciarci l'orma del nostro passo. Quel che diventeremo continua a esser figlio di ciò che vorremo diventare. Così diventa importante la cura quotidiana, l'attenzione, il vigilare. Tanto inutile e grottesco è il ristare impettito di tante muraglie avvitate su un confine che non esiste, quanto utile sarebbe piuttosto un intelligente navigare nella corrente, capace ancora di rotta, e di sapienza marinara. Non è il caso di andare giù come sacchi di patate. Navigare, sarebbe il compito. Detto in termini elementari, credo che si tratti di essere capaci di decidere cosa, del mondo vecchio, vogliamo portare fino al mondo nuovo. Cosa vogliamo che si mantenga intatto pur nell'incertezza di un viaggio oscuro. I legami che non vogliamo spezzare, le radici che non vogliamo perdere, le parole che vorremmo ancora sempre pronunciate, e le idee che non vogliamo smettere di pensare. È un lavoro raffinato. Una cura. Nella grande corrente, mettere in salvo ciò che ci è caro. È un gesto difficile perché non significa, mai, metterlo in salvo dalla mutazione, ma, sempre, nella mutazione. Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo.

Alessandro Baricco - I BARBARI - (Feltrinelli, 2008)

venerdì 13 febbraio 2009

La Chiesa di Don Tarcisio

"Sei come una stella alpina rinata sulle rocce dopo un lungo inverno".
"Tu, cara Eluana, adesso sai qual è veramente la verità. Riposa in pace in mezzo ai nostri monti."
"Ora c'è il silenzio. Parlino le coscienze. In questi tempi ci siamo scontrati, ma davanti a Eluana abbiamo il capo chino e d'ora in avanti dobbiamo camminare insieme". "Ora tu sei libera e puoi riposare in pace. Sei vicina a Dio e quindi conosci la verità. Ti prego di illuminarci tutti e soprattutto di stare vicino alla tua mamma e al tuo papà. Dal cielo fai sentire la tua presenza. Ti porteremo sempre nel cuore"
"Cumò tu ses in ta veretât e ti prego da lassù prega sempre per tutti noi. Mandi Eluana, resta in Dio".

Ricordo vagamente Don Tarcisio Puntel, quando prima del terremoto, giovane prete, prestava servizio a Gemona: piccolo di statura, occhi vispi e svegli, parlata carnica ...
Oggi ho rivisto Don Tarcisio, piombato suo malgrado in mezzo a questo delirio nazionale; ho letto le sue parole pronunciate durante l'omelia funebre, l'ho sentito alla TV pronunciare semplici ed equilibrate frasi: niente strali, niente giudizi morali, niente eccessi.

La Chiesa di Don Tarcisio è la Chiesa dei semplici, di quelli che non hanno la verità in tasca, è la Chiesa della gente che ha mille domande e mille dubbi e che cerca risposte nel quotidiano attraverso la luce del cuore; è la Chiesa che non giudica, che prega in silenzio, che accetta tutti, che perdona.

E' questa la Chiesa di cui abbiamo bisogno.

http://www.youtube.com/watch?v=mggNZlFFPV0

domenica 8 febbraio 2009

Del nascere e del morire


I diritti fondamentali delle persone riguardano la vita e la morte nel loro intrecciarsi continuo. Situazioni emblematiche, di cui i mezzi di informazione si sono ampiamente occupati, provocano in noi una riflessione sofferta e rispettosa della storia delle persone e alcuni interrogativi etici laceranti. Il primato oggettivo della "verità", comunque sempre da cercare ed approfondire, è tale da sopprimere la libertà di coscienza personale? E come questa può essere rapportata al sentire di una società, nel pluralismo delle ispirazioni e delle convinzioni? La sacralità della vita riguarda la sua totalità: la corporeità e la dimensione profonda dell'anima, dello spirito. L'attenzione e la cura alla vita umana inducono ad una prudenza nei confronti della scienza e delle sue tecnologie, a una sorta di timore che non intende limitare la ricerca e la sperimentazione, ma continuamente riporre la questione etica, senza apriorismi e fanatismi.
Proprio a motivo di lancinanti interrogativi ci pare di non condividere né l'esultanza nei confronti di decisioni che sostituiscono di fatto il ritardo legislativo riguardo il testamento biologico, né la posizione di chi definisce omicidio una scelta drammatica vissuta nell'ambito di una relazione di amore. Avvertiamo l'esigenza di porsi molto di più in ascolto della vita e di tutte le sue situazioni e per questo di aprirci con rispetto a diverse possibilità. Come è vero che nessuno dovrebbe sollecitare, tanto meno obbligare qualcuno ad anticipare la propria morte biologica, ci chiediamo se altrettanto è possibile che nessuno sia obbligato a vivere anche in quelle condizioni estreme che inducono a desiderare la morte come una liberazione da una vita considerata impossibile. Fra i tanti esempi di accompagnamento per anni e anni di persone in condizioni estreme, si possono collocare anche quelle situazioni in cui le persone non ce la fanno, non per egoismo, tanto meno per cattiveria, ma per scelta personale. O ci sarebbero questioni morali che non sono di competenza della libertà di coscienza di ciascuna persona? E davvero ci si può sostituire a Dio affermando di conoscere la sua volontà riguardo alla sofferenza e alla morte delle persone? E perché non vivere con lui una relazione di fiducia, di accoglienza del nostro vivere e morire, di una vita che continua diversamente nel suo Mistero?

Lettera aperta di dieci preti friulani - Natale 2008

giovedì 5 febbraio 2009

La ragnatela

Un giorno il filosofo Anakatzi, vedendo il legislatore Solone, intento a preparare nuove leggi per Atene, disse “le leggi somigliano a ragnatele catturano le mosche piccole ma sono lacerate da quelle grosse”, certo se ci riflettiamo un attimo forse anche oggi ci sono delle situazioni che ci fanno pensare che questa cosa è ancora vera se pensiamo alla quantità di norme che vengono quotidianamente emesse in Italia e che spesso sono disattese, se pensiamo poi alla quantità di condoni, di amnistie, di indulti, di sconti della pena, ci pare di capire che dai tempi dell'antica Atene non abbiamo fatto molti passi in avanti.

V. Di Nucci