venerdì 31 ottobre 2008

Smisurata ...


10 anni e sembra ieri ....


Le maggioranze hanno la cattiva abitudine di guardarsi alle spalle e di contarsi ... dire "Siamo 600 milioni, un miliardo e 200 milioni..." e, approfittando del fatto di essere così numerose, pensano di poter essere in grado, di avere il diritto, soprattutto, di vessare, di umiliare le minoranze.
La preghiera, l'invocazione, si chiama "smisurata" proprio perchè fuori misura e quindi probabilmente non sarà ascoltata da nessuno, ma noi ci proviamo lo stesso.»(Presentazione di Fabrizio De André durante un concerto)



per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore

...

ricorda Signore questi servi disobbedientialle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere

Scuola di democrazia


"Pensando e ripensando - è stato detto - non trovo altro fondamento della democrazia che questo: il rispetto di sé. La democrazia è l'unica forma di reggimento politico che rispetta la mia dignità, mi riconosce capace di discutere e decidere sulla mia vita pubblica. Tutti gli altri reggimenti non mi prestano questo riconoscimento, mi considerano indegno di autonomia fuori della cerchia delle mie relazioni puramente private e familiari. La democrazia è, tra tutti, l'unico regime che si basa sulla mia dignità in questa sfera più ampia... Essere democratici vuol dire assumere nella propria condotta la democrazia come ideale, come virtù da onorare e tradurre in pratica".


Gustavo Zagrebelsky

giovedì 30 ottobre 2008

GOD BLESS AMERICA


Il meticciato che anticipa il nostro futuro

Gad Lerner - La Repubblica


È possibile, anche se per nulla scontato, che nei giorni prossimi un nero, un meticcio, un sanguemisto - fate voi - venga eletto al vertice della prima potenza mondiale. Se tale evento si verificasse dispetto delle resistenze e dei pregiudizi che nessun sondaggio d´opinione è in grado di registrare, perché impronunciabili avrebbe conseguenze culturali e politiche straordinarie. Ben oltre i confini degli Stati Uniti d´America. Per intuirlo, basta leggere come lo stesso Barack Hussein Obama Jr. desidera presentarsi. «In quanto figlio di un nero e di una bianca, nato nel crogiuolo razziale delle Hawaii, con una sorella per metà indonesiana ma in genere scambiata per messicana o portoricana, e un cognato e una nipote di origini cinesi, con alcuni consanguinei che assomigliano a Margaret Thatcher e altri così neri da poter passare per Eddie Murphy, tanto che i raduni familiari assumono l´aspetto di una riunione dell´Assemblea generale delle Nazioni Unite, non mi è mai stato possibile limitare la mia lealtà su base razziale o misurare il mio valore su base tribale».Mentre noi ci gingilliamo ancora con la razza Piave e l´identità padana, l´America non vive più la razza Obama come corpo estraneo e dunque può aspirare al superamento simbolico dei conflitti razziali che pure hanno contraddistinto tanti passaggi drammatici della sua storia. Permangono negli Usa, certo, e anzi si acutizzano disuguaglianze sociali a sfondo etnico. Ma è ancora Obama a dirci la rivoluzione che la sua leadership potrebbe favorire: «Ho fratelli, sorelle, zii e cugini di ogni razza e colore, sparsi su tre continenti, e finché avrò vita, non dimenticherò mai che in nessun altro Paese della terra sarebbe possibile una storia come la mia. Non è la storia di un classico candidato. Ma ha impresso nel mio patrimonio genetico l´idea che questa nazione è più della somma delle sue parti, che siamo molte persone, ma un unico popolo».Tanti americani, un unico popolo meticcio. La fiducia cioè nella possibilità che l´identità nazionale si rafforzi come esito della fusione tra diversi. Quale stridente contrasto con le parole grossolane pronunciate a Rimini nell´agosto 2005 da Marcello Pera, all´epoca presidente del Senato: «In Europa la popolazione diminuisce, si apre la porta all´immigrazione incontrollata, e si diventa tutti meticci».Certo la razza Obama – mi permetto di usare questa parola imbarazzante perché è lo stesso candidato nero a farla propria con sapiente disinvoltura nei suoi discorsi – costringe la classe dirigente Usa a una revisione culturale della propria fisionomia. Il teorico dei conflitti di civiltà, Samuel P. Huntington, nel suo saggio su La nuova America (Garzanti), lamenta il fatto che «le identità subnazionali, binazionali e transnazionali» abbiano eroso «la preminenza dell´identità nazionale». Soprattutto dopo l´11 settembre 2001, per Huntington non può esistere altra via di rafforzamento del «credo americano» che prescinda dalla «cultura anglo-protestante» su cui si è fondata la nazione per ben tre secoli.Obama, lungi dal produrre una rottura con la tradizione e i valori occidentali finora incarnati nei "WASP" (White Anglo-Saxon Protestant), ne rappresenta la storica evoluzione cosmopolita. Convivono in lui l´afflato religioso dei coloni che fondarono l´America, la sensibilità di chi ha vissuto discriminazioni anche sulla sua pelle, la memoria di un padre africano e di un´infanzia indonesiana. Ciò che non gli impedirà, se eletto, di difendere gli interessi statunitensi nel mondo, più o meno efficacemente, come i suoi predecessori. Impersonando però una novità generazionale planetaria, figlia dei secoli delle migrazioni di massa.Obama anticipa il nostro comune futuro. Obama è un accadimento dirompente. Richiamerebbe, se eletto, le nostre più divertenti fantasie sul "chissà quando avremo un papa nero".Piace immaginare che un presidente degli Stati Uniti afroamericano, meticcio, sanguemisto otterrebbe udienza diversa – almeno in principio – dal Medio Oriente all´Africa. Sarò ingenuo, ma oso sperare che costringerebbe a una maggior pulizia di linguaggio certi energumeni del "politicamente scorretto" che per sembrare più vicini al popolo ironizzano in tv sull´"abbronzatura" di chi non ha la pelle bianca come loro. Ciò che più conta, retrocederebbe ad anticaglia improbabile tutta la retorica sulla difesa delle identità minacciate di contaminazione.Dubito che i nemici nostrani del meticciato, spacciatori d´identità artificiali e inautentiche, potrebbero permettersi di dare del bastardo al presidente della maggiore nazione occidentale. Un buon sostegno per chi cerca di tenere separata la genetica dalla politica.Troppo bello per essere vero? È per questo che serpeggia la paura che Barack Hussein Obama Jr. possa essere assassinato in quanto anomalia insopportabile, nel tempo dei conflitti di civiltà che regalano spazio ai predicatori di una ormai impossibile separazione etnico-religiosa.È per questo che sull´elezione di Obama, nonostante i favori dei sondaggi, aleggia l´incognita del non detto razzista, presente anche in una quota ristretta (ma potenzialmente decisiva) dell´elettorato democratico. È per questo che taluni paventano, nel caso di un suo insuccesso, la recrudescenza dei conflitti razziali.Obama si candida alla Casa Bianca grazie a un talento e un carisma che gli hanno già consentito di frequentare le migliori università e di soppiantare l´establishment del Partito democratico.È riuscito a presentarsi come un Giosuè in grado di guidare il popolo nuovo, definitivamente riunito oltre la frattura tra i padri costituenti e il secolo della schiavitù. Con il voto di martedì prossimo l´America si trova in bilico sul crinale di un passaggio d´epoca che ha rilevanza mondiale.

mercoledì 29 ottobre 2008

Gli invincibili


Invincibile Chisciotte che non ne ha mai vinta ne azzeccata una? Per noi di passaggio, invincibili non sono quelli che stanno sul gradino più alto del podio, posto scomodo da conservare a lungo. Alla fine prima o poi qualcuno ti butta giù da là sopra. Ma invincibili sono quelli che non si lasciano abbattere, scoraggiare ricacciare indietro da nessuna sconfitta, e dopo ogni batosta sono pronti a risorgere e a battersi di nuovo. Chisciotte che si tira su dai colpi e dalla polvere, pronto alla prossima avventura, è invincibile.
Erri DE LUCA Chisciotte e gli invincibili Fandango libri, 2007

martedì 28 ottobre 2008

SULLE REGOLE

La storia è un percorso, fatto di prima e di dopo, di ieri, oggi e domani. E’ un tragitto costituito da una concatenazione di passi. Somiglia a un lungo e faticoso sentiero di montagna del quale non si vede la fine. Ogni passo in se pare non avere importanza, tanto è breve rispetto alla lunghezza complessiva del cammino.
Nei confronti della storia la persona è impaziente, vuole una soluzione immediata, esige cambiamenti repentini. Se non li coglie subito, tende a escludere che posano verificarsi. Si demoralizza, si ferma, si rifiuta di camminare ancora, perché la fatica che gli costa il singolo passo sembra sprecata.
La prospettiva che, nel cammino della storia, superare l’ingiustizia richieda tempo a volte pare troppo difficile da sopportare. Succede che alcuni si estranino, rimuovano la questione e vivano come se il problema non esistesse. Altri si lascino andare alle ribellione violenta.

Il cammino verso una società orizzontale è fatto anche dalla percezione del tempo.

Collocarsi nel tempo significa avere presente il passato e considerare i passi compiuti, la diversità di oggi rispetto a ieri.

Più si procede, più si allargano le possibilità di vedere se stessi e ognuno degli altri come soggetti e non come oggetti; di essere liberi e non sottomessi, cittadini e non sudditi. Si tratta di un percorso infinito, nel quale, prima e più della meta, conta il modo di essere sulla strada, la coerenza di ogni gesto di ogni parola rispetto al risultato finale. E’ il percorso, non il traguardo, a riempire la persona del valore e delle propria dignità. Tutti noi siamo sul percorso, dipende da ognuno di noi dove questo ci porterà.


GHERARDO COLOMBO, “SULLE REGOLE” Feltrinelli 2008

domenica 26 ottobre 2008

GEMONA SENZA CINEMA


Il cinema Sociale chiude: la notizia è di questi giorni anche se da tempo era facile intuire quest’amara conclusione. I multisala, la televisione, i DVD, internet, hanno sempre di più ridotto il numero dei fruitori delle sale cinematografiche cittadine risicando i margini di guadagno dei gestori sino a non garantirne la sussistenza. Anche il Sociale non si è salvato da quest’evenienza.
Il cinema teatro Sociale, riedificato dopo il terremoto in una collocazione diversa rispetto alla precedente, è un edificio di proprietà dell’amministrazione comunale. Inaugurato alla fine degli anni ottanta, l’attività di proiezione cinematografica è stata da sempre gestita in appalto da una società privata. La stessa società garantiva il personale di supporto per la stagione teatrale curata dall’Ente Regionale Teatrale. Nello scorso mese di Gennaio il gestore segnalava all’amministrazione comunale le difficoltà economiche riscontrate nella gestione dei due anni precedenti e anticipava la volontà di rescindere il contratto poi attuata nel successivo mese di Giugno. L’Amministrazione comunale, preso atto della rinuncia del gestore e delle problematicità della gestione finanziaria, lo scorso Luglio bandiva una nuova gara per la gestione del servizio, accollandosi le spese ordinarie (relative all’energia elettrica, riscaldamento e le manutenzione ed il controllo degli impianti di sicurezza ) ed aprendo la partecipazione anche ad associazioni senza attività di natura commerciale. Nonostante gli appelli dell’Amministrazione Comunale e alcuni incontri con associazioni e cittadini interessati, per cercare una soluzione al problema, alla scadenza non sono pervenute offerte e così non è rimasto altro che prendere atto della circostanza e decretare la chiusura (almeno per ora) della sala per quanto riguarda le proiezioni cinematografiche. Per gli spettacoli teatrali, si è messa una pezza e la stagione sarà garantita. Fin qui la cronaca.
Dobbiamo prendere atto: se non c’è interesse da parte dei cittadini per questo servizio è del tutto inutile tenerlo in vita spendendo risorse della collettività.
I tempi cambiano, cambiano i gusti e le esigenze; non ha molto senso difendere a spada tratta i “bei tempi passati” da una inevitabile trasformazione. Non serve erigere muraglie per evitare che il nuovo ci travolga ed arroccarsi nella difesa del fortino. E’ fondamentale però mantenere saldo quel filo rosso che ci lega con la storia ed arricchirlo delle esperienze più significative ma è impossibile portarsi dietro tutto. E’ altrettanto importante saper leggere il nostro tempo, che oggi muta molto più rapidamente di una volta (dice Nicholas Negroponte, in Essere digitali, che un anno-internet equivale e 3 mesi solari), per cercare di saldare il presente col passato, per tradurre i migliori saperi in un nuovo linguaggio.
Fuor di metafora, il cinema chiude, che cosa di buono possiamo salvare? Quali progetti possiamo mettere in campo perché quella sala possa essere veicolo di cultura e di espressioni artistiche? Chi si mette in gioco?
E’ inutile tentare la competizione con i cinema multisala, con realtà più strutturate, con bacini d’utenza di altre dimensioni, bisogna cambiare registro, alzare il livello, bisogna inserire il Sociale in un progetto culturale complessivo per Gemona coinvolgendo quanti hanno a cuore questi aspetti (il volontariato culturale, le scuole, la parrocchia, La Cineteca del Friuli, singoli cittadini appassionati) ma cercando anche canali di sostegno in un ambito più ampio del nostro comune.
Investire nella cultura non è un facile business; non ci saranno “project financing” che potranno salvare il Sociale con la bacchetta magica, ne è cosciente anche chi propone queste soluzioni.
Il Sociale si salverà se, abbandonata la facile demagogia, Gemona saprà investire in cultura a prescindere dall’immediato ritorno economico ma, prima di tutto, perché è cosciente che attraverso la cultura e la conoscenza possiamo disporre di molte chiavi per la lettura del mondo, siamo stimolati al dialogo e al confronto con esperienze e patrimoni diversi dai nostri e possiamo costruire nuove convivenze, nuove cittadinanze in una società che si prospetta sempre più multietnica. Conoscere ci aiuta a saper osservare la molteplicità degli aspetti del mondo che ci circonda e a non cadere nel pensiero unico che ci dice che solo ciò che ha un prezzo vale.
Il Sociale è una delle possibilità che abbiamo per lavorare in questa direzione.
Le risposte non sono facili, ma è questa la sfida che si prospetta; l’amministrazione comunale per prima, e poi tutti i cittadini di Gemona, sapranno coglierla?
La sala del Sociale è vuota, come la riempiamo?
Sandro Venturini

COMANDARE E' FOTTERE

Lo diceva Totò e si ripete con proverbiale sapienza dalle scalinate dei Quartieri Spagnoli di Napoli: ''O 'commanna' è meglio ro' fotte''. A rimarcarlo, in un gustoso e imperdibile vademecum per aspiranti carrieristi di successo è Pier Luigi Celli, che per Mondadori firma Comandare è fottere (pp. 108, euro 15), un libro nel quale ti spiega che mentre tu stai lì a chiacchierare, gli altri ti soffiano la poltrona da sotto il sedere.
E se nel film 'La banda degli onesti', il principe della risata invitava l'indebitato tipografo Lo Turco a passare dalla 'parte del ragionier Casoria' prendendo la tazzina di caffè 'con molto zucchero', in questo canovaccio per "bastardi di professione" che vogliono arrivare in cima senza dubbi da coltivare, Celli, manager di successo e attualmente amministratore delegato e direttore generale dell'Università Luiss Guido Carli di Roma, rimarca che il lavoro è una giungla, con poche regole e tanti aspiranti leoni e ricorda che, se nella selva non si può perdere tempo con chi resta indietro, alla faccia delle pari opportunità, il 'nascere bene' ovvero l'essere figli di qualcuno, aiuta eccome.
''E' un manuale paradossale - ci spiega Pier Luigi Celli - avrebbe l'ambizione di insegnare le cose buone, dicendo pero' quelle contrarie.

CHI DECIDE?

Nelle scorse settimane per tentare di uscire dalla ormai cronica emergenza dei rifiuti dell’area partenopea, il nuovo Governo Berlusconi ha scelto un modello autoritario: fine del dialogo paralizzante tra le parti, gestione centralizzata del problema, possibilità di deroga alle norme ambientali e sanitarie e ricorso all’esercito per garantire l’immediata attuazione delle attività di raccolta e smaltimento.
Qualche giorno fa, dopo mesi di serrato dibattito locale, anche con l’intervento di un “mediatore” tra le diverse “parti in gioco” (comunità europea, stato, regione, comunità montane,comuni, cittadini), è stato approvato il nuovo tracciato della linea ferroviaria ad alta velocità (il c.d. “corridoio 5”) nel tratto alpino collocato nella parte ovest della regione Piemonte (Val di Susa). Il tracciato è stato in parte modificato rispetto al primo progetto, sono state accolte alcune istanze locali, si è pervenuti dunque ad una “mediazione” che consente di realizzare l’opera senza grandi contrasti e con soddisfazione reciproca. Se questo metodo fosse stato adottato sin dall’inizio probabilmente le opere sarebbero già in avanzata fase di lavoro, ma tant’è.
Due modi diversi per affrontare scelte di interesse collettivo.
Sono solo due esempi ma rappresentano bene due facce della stessa medaglia: come si prendono le decisioni su questioni di carattere generale? Chi e come decide sulla localizzazione di un nuovo impianto industriale di grande impatto (un cementificio, ad esempio)? Chi e come decide il piano di sviluppo della telefonia mobile locale di un comune?
Un fatto è certo: la democrazia passa attraverso il confronto e il dialogo, ogni restrizione degli spazi di democrazia, ogni decisione assunta in modo autoritario e attuata con metodi coercitivi è una sconfitta della democrazia e conseguentemente della piena cittadinanza di ciascuno.
Del resto chi è portatore di un legittimo interesse ovvero tutti gli attori sociali che hanno una “posta in palio” non sono disposti stare al margine ma chiedono la possibilità di compartecipare, in maniera informata, alla gestione dei processi di scelta.
L’unica vera soluzione praticabile resta dunque quella faticosa, non lineare, spesso irta di ostacoli e contraddizioni della “democratizzazione” delle scelte, della ricerca delle soluzioni condivise ai problemi dello sviluppo e delle compatibilità di questo con il territorio, inteso nella sua accezione più ampia.
Il processo che porta alla scelta, deve essere gestito il più possibile a livello locale e deve coinvolgere tutti gli attori in campo: i rappresentanti delle istituzioni che sostengono gli interessi generali ed hanno piena legittimità costituzionale (dagli amministratori locali fino alle istituzione nazionali), gli “esperti” che conoscono a fondo le questioni in gioco e le sanno rappresentare con rigore (“i tecnici”), coloro che hanno una posta in gioco e possono avanzare qualche legittimo interesse (cittadini e loro rappresentanze, i c.d. “portatori di interesse”). Il processo delle decisioni diventa di buona qualità quando gli “attori” si riconoscono reciprocamente come portatori di interessi legittimi ancorché diversi; quando le istituzioni democratiche favoriscono le dialettica la negoziazione tra i differenti attori; quando il sistema di comunicazione nelle sue molteplici articolazioni è di buona qualità; quando non ci sono secondi fini o interessi non esplicitati; quando c’è trasparenza e dialettica costruttiva. Non è sempre facile giungere ad un compromesso che assicuri il soddisfacimento di tutte le parti; allora la decisione finale deve essere assunta con metodo trasparente da chi rappresenta gli interessi generali, ma non prima di aver esplorato ogni possibili strada d’intesa.
Nei paesi democratici questo tipo di soluzione faticosa non ha alternative; è l’unica che può essere praticata in maniera efficiente. Non ci sono altre soluzioni al confronto: nessuno può sottrarsi al dialogo.

Carlo Rubbia

“La società di oggi ha bisogno di una visione nuova, e “tutti abbiamo una tremenda responsabilità verso le generazioni future. Questo è un problema che non possiamo trascurare.”
“Il problema dell’energia è nella testa di tutti, ma soprattutto nella testa dei giovani, perché sono loro che dovranno porsi la domanda «che cosa succederà quando non si potranno più sfruttare le sorgenti fossili o perché non saranno più sufficienti o perché il disastro che hanno procurato all’ambiente è diventato eccessivo?».

Carlo Rubbia